Recensione A Christmas Carol – 10 anni dopo

Canto di Natale è una storia profondamente radicata nella nostra cultura e, non meno importante, bellissima. Perché le melensaggini sul Natale sono facili da scrivere: tutti più buoni, la gioia dello stare insieme, la famiglia. Tutto bello, e sacrosanto, ma narrativamente noioso. Dickens ci aggiunge fantasmi, viaggi nel tempo, punizioni divine ed Ebenezer Scrooge. Il Natale come lo conosciamo oggi è (anche) figlio di questa storia.

C’è però il problema che è stata reinterpretata in ogni modo possibile. Si sa, quindi, che la puntata Canto di Natale arriverà, qualunque cosa si stia guardando. Ci sono versioni più o meno riuscite, più o meno originali. Canto di Natale di Topolino ha forse soppiantato addirittura l’originale nell’immaginario collettivo. Se pensiamo a Scrooge ci viene in mente con le fattezze di zio Paperone (il cui nome originale è proprio Scrooge, archetipo dell’avaro, in un cortocircuito letterario che ha del delizioso).

E allora anche Doctor Who ha fatto Canto di Natale per un episodio natalizio.

Parliamo subito dell’elefante nella stanza. Io amo Steven Moffat e la sua gestione dell’undicesimo Dottore. Quindi sarò di parte. Bisogna dire che il mio amore per lui è dovuto proprio a questa puntata insieme ad altre, quindi qualcosa vorrà pur dire.

Diciamo innanzitutto che A Christmas Carol è molto di più di un semplice Canto di Natale con il Dottore. Perché Moffat fa sempre così. Le sue puntate sono l’unione di più idee. Ci sono delle statue che si muovono se non le guardi e un messaggio nascosto negli speciali di alcuni dvd. C’è un’astronave riparata con pezzi dell’equipaggio e dei portali che portano in vari momenti della vita di una dama francese. Se si amalgamano bene esce un capolavoro, a volte manca appena il centro del bersaglio e abbiamo puntate salvate solo da una scrittura brillante. Questo Natale unisce la novella dickensiana a una storia d’amore che si svolge tra due persone che la vivono in modo temporalmente diverso. Ehi, questa idea piace proprio al nostro Moffat, eh? Penso a Madame de Pompadour, a River, persino “la ragazza che ha aspettato” per eccellenza, la nostra Amy, ha un rapporto simile con il Dottore.

Abbiamo un’astronave che sta per precipitare su un pianeta avvolto da nubi in cui nuotano/volano pesci, e un vecchio avaro che le controlla. Ed è già un inizio esplosivo. Arriva il Dottore e, per convincere il vecchio avaro a salvare la nave, decide di cambiare il suo passato. Qui Moffat scombina le carte in tavola. Il Dottore non fa rivivere i Natali passati a Kazran Sardick (è questo il nome dello Scrooge in questione), ma torna indietro a riviverli con lui, per creargli dei ricordi piacevoli. Il grosso della puntata è questo montaggio di Natali, con Kazran che cresce. Hanno avventure con uno squalo gigante, con Marilyn Monroe, accompagnati da Abigail, una ragazza tenuta in animazione sospesa che risvegliano ogni vigilia per passare la notte di Natale con loro. La trama la sappiamo, ma voglio farvi notare come la storia d’amore tra Kazran e Abigail sia ben costruita. Anche la scelta di Kazran di non risvegliarla più per salvarla, diventando un avaro di tempo, è comprensibile, straziante e originale.

Il fantasma del Natale presente è Amy, che mostra a Kazran le persone che stanno per morire. È una bella scena ed è la reazione del vecchio a rubare la scena. Rabbia fredda, emozioni represse, pragmatismo e cattiveria che si sovrappongono in una persona ferita. Bella, ma è chiaro che il Natale presente per Moffat è solo un passaggio tra quelli passati e quelli futuri.

Ma come fare il fantasma dei Natali futuri? Chi sarà? Me lo sono chiesto per tutta la puntata, la prima volta che l’ho vista. Porti Kazran a vedere l’astronave schiantata e gli fai vedere la sua stessa morte? Un futuro del genere avrebbe spaventato Scrooge, ma Kazran è un personaggio diverso. Sa già di essere solo e odiato. Accetta la morte sua e degli altri. Ed ecco il colpo di genio di Moffat, quello che me lo fa amare. Ribalta la concezione dei fantasmi. Il Natale futuro è lo stesso Kazran anziano mostrato al se stesso bambino, la sua paura più grande, essere cresciuto diventando uguale a suo padre, crudele e spietato. Attenzione, la scena funziona non perché conosciamo bene il personaggio di Elliot Sardick, ma perché conosciamo perfettamente Kazran Sardick. Seguire la sua vita è stato appagante perché era una bella storia, anche se non proprio lieta, ma adesso capiamo il motivo narrativo per il quale era necessario conoscerlo così bene.

Il ritorno dello squalo e la canzone di Abigail sono momenti splendidi che fanno finire la puntata in grande, ma è il fantasma del Natale futuro il perno focale di questa storia.

Il finale, l’ultima notte di Abigail, è tristissimo, eppure non è quella la sensazione che rimane. Come ogni storia di Natale ben scritta ci lascia la gioia e la speranza, anche nel dolore.  È un “everybody lives”, anche se questo vale fino alla sigla, sappiamo cosa succederà subito dopo. Moffat viene accusato spesso di essere troppo cervellotico e poco attento al lato emotivo delle sue storie. Sono critiche comprensibili, ma non valgono per A Christmas Carol. Sono rimasto stupito nello scoprire che, seppur amata, questa puntata non è mai citata tra le migliori di Doctor Who. Io personalmente la adoro e la consiglio sempre, anche a chi non conosce la serie.

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