WORLD ENOUGH AND TIME, recensione di Saki

Dopo In the Forest of the Night e Sleep no More, un altro titolo che è anche una citazione poetica: alla terza stagione di fila, non è più una coincidenza, ma una raffinatezza dell’era Capaldi.
World Enough and Time si apre con un’anteprima agghiacciante, e non solo per il clima mostrato nella scena prima dei titoli di testa: il Dottore sta per rigenerarsi. Lo sapevamo dall’inizio della stagione, abbiamo cercato di farcene una ragione e di centellinare la visione di ogni puntata, ma la realtà si sta facendo concreta e più che mai vicina. Accadrà alla fine della prossima puntata o, come già annunciato, durante lo speciale di Natale? L’unica certezza che mi ha fatto tremare il cuore è quel “No” pronunciato dal Dottore: ci ricorda il “Non voglio andare” di Tennant, eppure è completamente diverso. Il Dodicesimo è stato differente – nel suo difficile rapporto con gli altri, con le proprie emozioni, persino con il proprio volto. Ma un altro particolare mi ha invece colmata di tenerezza: i capelli. Ragazzi, se è tutto come sembra, Capaldi lascerà il posto al suo successore con la stessa pettinatura di Jon Pertwee nel ’74. Dopotutto, abbiamo già avuto il cameo di Alpha Centauri e in questa puntata anche l’aikido venusiano, non potrà mancare la rigenerazione strappalacrime.

Peccato che alla sua “Sarah Jane” di turno, Bill Potts, in questa puntata accada qualcosa di terribile. Come Oswin, l’eco di Clara in Asylum of the Daleks, ma soprattutto come Danny Pink nel finale dell’ottava stagione, la ragazza che abbiamo imparato ad amare sin dal suo primo ingresso nello studio del Dottore alla St. Luke viene trasformata in un cyborg. Un Cyberman Mondasiano, per la precisione, nonché il primo esperimento riuscito nella Storia del pianeta gemello della Terra.

Non importa quanto gli esseri umani possano considerarsi diversi tra loro, il Dottore non distingue le loro differenze più di quanto aveva dimostrato di farlo Strax in Deep Breath, perché la differenza fra lui e loro sarà sempre più grande. Questa realtà gli permette di essere l’eroe che amiamo, perché ha tanto da insegnarci: sotto il suo sguardo lunare, accigliato, antico, giocoso, proviamo una sana vergogna per non essere sempre in grado di riconoscere pienamente noi stessi nel prossimo.
E lui, in chi si identifica? Chi considera simile a sé? Non abbiamo più dubbi, dopo la scena in cui il Dodicesimo racconta a Bill della sua amicizia con il Maestro. Certo, non arriviamo a credere a Missy quando afferma che il Dottore non può avere amici umani, ma è vero che il rapporto fra loro è quanto di più profondo e duraturo possa esistere, nel bene e nel male – TARDIS permettendo. Da qualunque parte sceglierà di stare alla fine, i miei dubbi su Missy in questa stagione sono stati dissipati: ha tentato davvero di migliorarsi e di guadagnare la fiducia del Dottore in buona fede. Il suo percorso è per ora stato interrotto da un sé precedente, il Maestro interpretato da Simm, che dice di essere preoccupato per il proprio futuro e sembra convincerla che la strada del bene porta solo alla sconfitta (“[Il Dottore] non ti perdonerà mai, lo sai, non ti libererà mai”)… ma come finirà? Il Dottore, dopotutto, ha dimostrato di conoscerla più di quanto lei conosca se stessa!

Ma Bill, nella sua umana fragilità, aveva ragione a temere per sé. Paura dell’avventura che avrebbe dovuto affrontare con Missy, paura di restare nelle mani di qualcuno che la fa rabbrividire. La sua preghiera al Dottore e l’ironia spavalda di quest’ultimo fanno da contrappunto alla terribile sequenza dello sparo che le distrugge il petto. Grande Moffat, ma chapeau anche a Rachel Talalay; in generale regia, montaggio e la recitazione degli attori, per tutta la puntata, hanno fatto sì che il tempo sembrasse davvero scorrere più lentamente sul fondo della nave.
Non ci resta che scoprire cosa si nasconde al piano 507. Non potrà essere peggio di un Jagrafess…

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