THE LIE OF THE LAND, recensione di Dalek Oba

Siamo arrivati alla fine della trilogia dei Monaci, con un episodio che conclude un arco narrativo sviluppato in un modo inconsueto per gli standard di Doctor Who: nella nuova serie è solamente la seconda trilogia vera e propria (Face the Raven, Heaven Sent e Hell Bent, per quanto strettamente collegati, sono considerati tre episodi singoli), preceduta da Utopia/The Sound of Drums/Last of the Timelords, andata in onda ormai dieci anni fa, con la quale ha anche parecchi punti strutturali in comune… ma ci tornerò dopo.

The Lie of the Land, lungi dall’essere un brutto episodio, è però a mio parere il più debole dei tre. Non mi è piaciuta innanzitutto l’eccessiva divisione tra le varie parti, evidente ogni volta in cui si cambia la location, tanto che che sembrano quasi dei minisodi distinti: la tirannia dei Monaci, il piano per “salvare” il Dottore, il dialogo con Missy, l’attacco alla piramide e, infine, l’epilogo.
L’episodio inoltre soffre il dover offrire una conclusione a tutti gli archi narrativi già aperti, elemento che influisce sul ritmo; parte con grande velocità, per cercare di mostrare tanto nel minor tempo possibile, ma viene poi rallentato dalla necessità del dover fornire spiegazioni, talvolta forse anche troppo ridondanti e non del tutto necessarie. Per quanto ad esempio la scena nel Vault sia recitata alla perfezione e oggettivamente coinvolgente da guardare, a una seconda riflessione pare forzata: la spiegazione di Missy su come si sconfiggono i Monaci è palesemente più rivolta agli spettatori che al Dottore, il quale dopo sei mesi di tempo avrebbe probabilmente dovuto capirlo da solo. In generale, l’ottima recitazione di tutti gli interpreti fornisce valore all’episodio e salva più di una scena non troppo riuscita.

Tra le cose che ho apprezzato ci sono invece l’inizio, in cui la distopia creata dai Monaci viene presentata in modo molto efficace e con parecchie strizzate d’occhio a serie tv e film sullo stesso argomento, e l’utilizzo della madre di Bill. È peculiare come la ragazza, per sfuggire al controllo mentale dei Monaci, non si limiti ad aggrapparsi alla verità, ma crei una propria finzione – la presenza della madre – a cui parlare e a cui raccontare come stanno davvero le cose. È un’invenzione usata per combattere un’altra invenzione, tuttavia resa potente da un fondo di verità: il profondo amore che Bill nutre per lei, anche se non l’ha mai conosciuta, e il profondo amore che la madre proverebbe per lei, se fosse ancora viva. I Monaci perdono il controllo nello stesso modo in cui lo avevano acquistato: a causa di un amore così puro da sovrastare qualsiasi finzione.

Credo che sia necessario citare la scena della “rigenerazione”, perché… insomma, non so bene cosa mi sarei aspettata, ma di certo non questo. A una prima visione è di sicuro d’impatto, solo che ragionandoci su qualcosa non torna. Innanzitutto, Bill era già a conoscenza della rigenerazione? Perché, l’unica volta che ne hanno parlato, il Dottore ha evitato le domande. Ma, soprattutto, perché il Dottore può tranquillamente usare la sua energia rigenerativa per fare dei trucchi scenici ma non per riacquistare la vista?

In generale il mio parere globale sulla trilogia è più che positivo; mi è piaciuta la storia, ho apprezzato lo svolgimento in grado di includere trame autoconclusive insieme a quella orizzontale e ho soprattutto approvato la collocazione a metà serie. A questo punto mi pare di capire che la trama orizzontale che attraversa tutta la stagione sia comunque legata al Vault, e alla sua ospite. Se è vero che Missy sta palesemente intraprendendo un cambiamento lento ma costante… sono curiosa di capire esattamente come abbia intenzione di cambiare. Diventare buona è sul serio il suo scopo ultimo?

Lo sceneggiatore dell’episodio è Toby Whithouse, già autore di numerosi altri copioni per la serie, tra i quali mi viene spontaneo citare A Town Called Mercy, per alcune delle tematiche in comune con The Lie of the Land. Missy, che propone il sacrificio di Bill in cambio della salvezza del pianeta, ricorda la situazione dei cittadini di Mercy, che avrebbero potuto salvarsi consegnando Kahler-Jex al Gunslinger. Se però qui Twelve si oppone totalmente all’idea, Eleven al contrario per un attimo aveva perfino cercato di metterla in pratica, per poi essere fermato da Amy.
Nello stesso episodio c’è anche un riferimento al fatto che Amy sia una mamma, e che nei suoi occhi ci siano “gentilezza e tristezza, ma anche ferocia”, e in The Lie of the Land viene rimarcata l’importanza della figura materna, che ha una forza tale da salvare il mondo.
Whithouse è anche l’autore del doppio episodio Under the Lake/Before the Flood, dove aveva già “giocato” con lo spettatore alludendo a una possibile morte del Dottore che, anche in quel caso, si era rivelata un semplice trucco.

Come già accennavo prima, non si può parlare di questa trilogia senza citare la precedente Utopia/The Sound of Drums/Last of the Timelords, con cui i punti in comune sono molteplici: partono entrambe con un primo episodio “fuorviante”, in cui la minaccia reale viene rivelata solo alla fine, proseguono con un secondo episodio che vede un tentativo di affrontare la minaccia che però fallisce, lasciando la Terra sotto a una tirannia, e termina con i protagonisti separati, che si riuniscono e finalmente sconfiggono il nemico. In entrambi i casi, inoltre, il Team Tardis è composto da tre persone, il Dottore è fatto prigioniero, è presente il Maestro (anche se nella seconda trilogia Missy non è l’invasore in questione), e per liberare la Terra viene utilizzato un campo telepatico (o qualcosa di affine) creato originariamente dagli invasori.