THE EATERS OF LIGHT, recensione di Dalek Oba

“You understand the universe, you see it, you grasp it. But you’ve never learned to hear the music”.

Parto da questa quote posta verso la fine dell’episodio… per dire che a me è successo esattamente il contrario. Ho sentito la “musica” di The Eaters of Light, le tematiche che affronta, i vari sottotesti, che mi sono parsi molteplici e interessanti; quello che mi è mancato è invece l’”universo”, ovvero una trama e una struttura che mi soddisfacessero appieno. L’episodio mi è parso eccessivamente lento e con molti elementi già visti in occasioni precedenti. Ovviamente in una serie tv di quasi 54 anni non ci si possono aspettare novità continue, ma in altre situazioni il riutilizzo di situazioni già trattate è stato fatto con più eleganza… o semplicemente più di nascosto. I soldati romani (questa volta non di plastica) sono un gradito ritorno, ma anche questa volta risultano essere l’argomento storico preferito della companion, come era già successo con Amy in The Pandorica Opens, senza contare il portale nascosto dalle rocce, come la Pandorica era nascosta sotto Stonehenge. Il Dottore che guida in battaglia contro gli alieni un villaggio rimasto senza guerrieri è poi materiale di appena una stagione fa, visto in The Girl Who Died. Bill si allontana e cade in una buca per la seconda volta nel giro di due puntate e… non cito nemmeno i corvi. Anche se in questo caso sono “Crows” e non “Ravens”, e sono molto più amichevoli. Gli Eaters of Light mi sono sembrati molto interessanti come “mostri della settimana”, però si vedono davvero troppo poco; mentre in alcuni episodi centellinare o nascondere la minaccia funziona (penso a Listen e Midnight, o anche ai Vashta Nerada, costituiti da sole ombre), in questo caso mi sarebbe piaciuta più azione.

Se la trama quindi non mi ha lasciata soddisfatta, al contrario molti degli argomenti affrontati sono a mio parere degni di nota. Bill è passata dall’essere la ragazza dalle mille domande al ragionare, dedurre, arrivare da sola a una soluzione e, anche se in parte, al saperne di più rispetto al Dottore.
Ho trovato significativo, nonché tristemente realistico, il fatto che i superstiti di entrambi gli schieramenti, Romani e Pitti, siano poco più che bambini – mentre gli adulti sono già tutti morti uccidendosi a vicenda – e che, una volta riusciti a comprendersi, si rendano conto di essere più simili di quanto credessero. Molto azzeccata anche la citazione di Tacito pronunciata da Kar, sul fatto che i Romani “creano il deserto e lo chiamano pace”.
Sul finale ritorna la tematica del Dottore che sceglie di sacrificarsi per salvare la situazione, ma che viene puntualmente fermato da qualcun altro che decide di prendersi la responsabilità al suo posto. In questo caso però la scelta di Kar e della Nona Legione è preceduta da un intervento quasi “pedagogico” di Twelve – che, non per niente, fa il professore da svariati decenni – da cui hanno imparato quando arriva il momento di crescere e combattere le proprie battaglie.
Il discorso del Dottore probabilmente vale anche per sé, dato che sta affrontando la sua personale battaglia con Missy o, meglio, con se stesso per decidere cosa fare a proposito di Missy. È passato dal tenerla rinchiusa, temporeggiando, al farla uscire (a determinate condizioni), istigato dalla speranza che lei voglia effettivamente diventare buona, che le sue lacrime siano sincere e che, prima o poi, riesca a sentire la musica.

The Eaters of Light è quindi un episodio imperfetto e forse troppo relegato nella sua funzione di “filler”, ma riesce a regalarci momenti intensi. Forse il suo scopo è proprio quello di insegnarci a vedere di meno e a “sentire” di più: ascoltare i corvi che hanno smesso di parlare per dedicarsi a ricordare il nome di chi continua a tenere il mondo al sicuro e, soprattutto, tendere l’orecchio alla musica.

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