THE PILOT, recensione di Saki

“L’amore è una promessa”, afferma il Dottore al termine dell’ottava stagione, guardando Danny e Clara abbracciati, e sembra crederci davvero. È un vero filo rosso nascosto nell’era Moffat: c’è l’amore che tiene legate due creature in prigionia (Time Heist), o in due universi distinti (Hide) o rende difficoltosa una trasformazione aliena (Death in Heaven, appunto, ma anche Closing Time). E ora, tra le mille ragioni per cui la nuova companion Bill Potts desidera viaggiare con il Dottore, è sicuramente importante la speranza di ritrovare Heather, la ragazza di cui è innamorata.
Allo stesso modo, anche una promessa è in sé amore. La promessa di un soldato – di nuovo Death in Heaven, ma anche Mummy on the Orient Express – e ancora l’implicita promessa di un Dottore ad un companion, quella di tenerlo al sicuro, che non sempre riesce a mantenere… e infine la promessa che lui fa a se stesso, di non ricascarci mai più, di rimanere solo. La fece dopo l’addio a Donna, poi dopo i Pond, dopo Clara.

Ma il TARDIS ha altri progetti per il Dottore; ogni eco tra le sue pareti transdimensionali lo spinge a ritrovare un compagno di avventure.
La metafora della vita come un’enorme città di istanti congelati nel tempo è più di un’immagine felice e suggestiva. Per il Dottore, ormai, il TARDIS non è più solo un veicolo – è la sua memoria, è la sua guida, è la sua parte migliore. Rappresenta la sua stessa esistenza. E per esistere appieno, talvolta, è necessario infrangere una promessa, perché se ti volti indietro mille sussurri ti convincono che devi andare avanti.
“Che cosa ti ha fatto cambiare idea?”
“Il tempo. Il TARDIS”.
Ed è come se dicesse: “Ti lascio entrare nella mia vita, perché ogni istante del mio passato desidera che io condivida con te il futuro.”
E noi questo futuro vogliamo conoscerlo. Puntata dopo puntata.

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