OXYGEN, recensione di Six

Doctor Who ha 54 anni, quasi. Di questi, 16 li ha passati in stato di fermo, mentre la televisione britannica sperimentava altro, con uno sceneggiatore canadese che ha tentato di importarlo oltreoceano, regalandoci nel mentre il sex symbol McGann e solo nel 2005 un vero reboot. Inoltre, a cavallo tra l’era di Tennant e quella di Smith, c’è stato un anno di hyatus in cui abbiamo avuto 4 episodi speciali, usciti ogni 3 mesi. Quando Steven, nel 2015, ci ha chiesto di aspettare un anno e mezzo per una nuova stagione, sapeva di starlo chiedendo al fandom più paziente di tutti, forse persino di quella fetta di Star Wars che non crede a libri e pubblicazioni collaterali, ma lo stava facendo promettendoci una stagione indimenticabile.

Non è quello che sta succedendo, per il momento. Cominciamo dall’episodio, un gran bell’episodio, come solo una puntata dalla sostanza classica e dalla forma moderna può essere. Il team TARDIS ritorna un trio, con un Nardole che viene suo malgrado trascinato all’azione, regalandoci un corollario di lamentele, che piuttosto era meglio la solita acqua di colonia. Proprio Nardole fatica a trovare un suo contesto, cercando di affermarsi in una polemica via di mezzo tra comic relief e voce della coscienza del Dottore. Bill è invece adorabile come al solito, con le sue espressioni uscite direttamente dall’ambiente teatrale. Unica critica: abbiamo capito che è omosessuale e di colore. Diventa pesante continuare a ostentare le minoranze a cui appartiene, per fantasiosi che siano i modi per farlo. L’interpretazione di Capaldi è, al solito, da brivido, con un modo di fare insieme soppesato ed elettrico, il Capaldi di cui tutti siamo innamorati, insomma.

La storia è carina, parte probabilmente dal gioco di parole finale, dove “suits” significa ambo “tute” e “cravattari”, come eufemismo di classe dirigente: il team TARDIS arriva su un’astronave prendendo la solita richiesta di aiuto, trovando l’ambiente privo di ossigeno. Le tute spaziali, dotate di sistemi idraulici autonomi, un po’ come se fossero robot esoscheletri, hanno ucciso il 90% dell’equipaggio e stanno braccando i 4 superstiti. Come se non bastasse, l’astronave priva di ossigeno chiunque sia sprovvisto di tuta, costringendo Dottore e soci a indossarne una a testa (e confermandoci che Nardole ha ancora un metabolismo aerobico, almeno in parte). Per poter scappare dalle tute, Bill resta esposta al vuoto cosmico, costringendo il Dottore a darle il suo casco, cosa che sarà fatale per i suoi occhi, lasciandolo cieco. Nonostante l’handicap, il Dottore capirà presto che le tute stanno eliminando gli esseri umani per impedire lo spreco di ossigeno, così da risparmiare preziosi fondi per la società che vuole rimpiazzarli; risolverà quindi il problema, impostando il computer di bordo per far esplodere la base se l’equipaggio dovesse morire, così da rendere la loro morte molto più dispendiosa della loro fastidiosa ossigenodipendenza. Il Dottore riporta sulla Terra i malcapitati.

La critica di fondo è vecchia come “Il Manifesto” (quindi, tutto sommato, neanche troppo) e non è del tutto estranea alla serie, che pure ha raramente visto un’interpretazione del futuro che preveda un superamento del capitalismo, come invece è comune in opere di Isaac Asimov, per esempio, ma dove non colpisce particolarmente l’aspetto politico, l’atmosfera Hard Sci-fi è palpabile e spero sarà al centro di molte prossime avventure (me lo vedrei bene come sottogenere del prossimo dottore): infatti è un clima alla Interstellar o alla The Martian che si respira nella puntata, senza teletrasporti quantici o raggi laser che bollono la faccia (eccetto il teletrasporto delle tute e i raggi laser dell’equipaggio), incentrata sul mostrare i veri problemi di un viaggio spaziale. Incentrata malamente, purtroppo, dato che, al solito, il lato scientifico della serie è un po’ carente: per esempio si parla di polmoni che esplodono tentando di trattenere l’aria nel vuoto, mentre il problema di fondo è che i polmoni non possono trattenere l’aria senza pressione esterna (ma rischiano, al più, un collasso) e i novanta secondi prima di morire di cui parla il Dottore all’inizio della puntata sono decisamente pochi. In compenso è vero che saliva e lacrime bollono e questo comporta congelamento superficiale, dato che la reazione assorbe energia, quindi non è tutto da scartare. Ci sono altre incongruenze sull’horror vacui, ma sono minori e non voglio annoiarvi. La puntata promette molto bene per il futuro ed è davvero godibile, 7 cammelli d’oro e una gobba sotto vuoto (si conserva più a lungo).

Ma se la puntata in sé e per sé non resta scolpita nella storia, la rivelazione finale è una novità nella serie: il Dottore è rimasto cieco e la cosa promette di durare, uno sviluppo orizzontale più interessante del vault, che continua a sembrarmi forzato.

Tornando brevemente alla mia teoria di una puntata per Dottore, è l’aria del quarto che si può intravedere nell’episodio, con un richiamo ai temi delle risorse fondamentali capitalizzate, come visto in “The Sun Makers” e un ammiccamento con il ritorno dello yo-yo. Potrei anche parlare dello schema Dottore e due companion che riprende i primi serial di Tom Baker, con Sarah Jane e Harry, ma mi sembra di tirare la cosa per i capelli: se fosse davvero così, avremmo visto puntate implicitamente dedicate a primo, quarto, quinto, sesto e settimo, lasciandoci con pochi dottori della classica ancora da visitare; sono, tuttavia, meno fiducioso della teoria, in quanto le similitudini possono anche essere ricondotte ai temi statici della serie, almeno in parte. Staremo a vedere!

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