OXYGEN, recensione di Dalek Oba

E così, ci hanno ingannati tutti. Zombie, ossigeno limitato, i pericoli dello spazio aperto. Ingredienti perfetti per un horror, giusto?
Sbagliato.

Intendiamoci, Oxygen mette angoscia, davvero tanta, di quella che ti stringe lo stomaco. Ma gli zombie non sono i responsabili. Ciò che a mio parere davvero destabilizza dell’episodio è la sua capacità di mostrarci situazioni sostanzialmente a noi vicine, consuete, ma collocate in un ambiente totalmente alieno che le sconvolge portandole al loro estremo. Prendiamo l’incipit: una coppia che lavora insieme, il desiderio di mettere su famiglia ma il tentennare nel comunicarlo. E all’improvviso, per colpa di una radio rotta, finisce tutto. Abbiamo letteralmente appena incontrato quelle persone, non ne siamo affezionati… non sappiamo nemmeno chi siano. Eppure vedere lei morire, all’improvviso, dopo essersi preparata un discorso che non potrà mai pronunciare, ci prende dritti allo stomaco.

Un altro esempio è il primo “zombie” che il Dottore, Bill e Nardole incontrano. Non è nemmeno uno zombie… è solo morto. Continua a muoversi e a stare in piedi – come tutti gli altri – perché è la sua tuta a farlo, lui la riempie solo. È una cosa oggettivamente disturbante e il disagio e l’indignazione di Bill non sono solo palpabili, ma anche pienamente condivisibili.

E non è finita qui. Nel vedere il trailer dell’episodio, mi era tornata in mente una vecchissima storia sul Topolino in cui Zio Paperone, per diventare sempre più ricco, cominciava a brevettare a suo nome oggetti e beni comuni che tutti davano assolutamente per scontati, per cui nessuno aveva mai pensato di reclamarne la proprietà esclusiva. Il fumetto finiva con il papero pronto a tornare all’ufficio brevetti per intestare a se stesso… l’aria.
Beh, non ci ero andata così lontana.

Anche in questo futuro non ben precisato l’ossigeno, il bene essenziale alla vita umana per eccellenza, diventa disponibile solo previo pagamento… e non è nemmeno economico. Non solo, l’ossigeno ottenuto in una qualsiasi altra maniera viene automaticamente eliminato. Se non vi sembra già abbastanza agghiacciante, andiamo direttamente alla fine dell’episodio, quando il Dottore svela il motivo per cui le tute stanno uccidendo gli umani al loro interno. Non è un virus o una rapina, è… semplice profitto. In una logica portata all’estremo in cui tutto è valutato in base al proprio rendimento economico, gli operai diventano un elemento qualsiasi della stazione spaziale, come un computer o, appunto, una tuta. Quando si nota che le tute da sole sono meno costose da mantenere, perché non consumano ossigeno, si passa alla diretta eliminazione dei lavoratori, per non perdere tempo e denaro.

Una piccola e temporanea speranza resta nel sentire il Dottore raccontare di una ribellione avvenuta di lì a breve; ma è comunque una vittoria amara, dopo ben 38 morti (e non sappiamo nulla di altre eventuali stazioni spaziali), e non riesce a distoglierci da un’altra questione posta in primo piano dall’episodio: quella del Dottore stesso.

Twelve è sulla Terra da decenni per mantenere un giuramento e, semplicemente, non ce la fa più. Qui non si tratta di un breve salto nel futuro con Bill, o di una deviazione decisa dal Tardis, è il Dottore che decide di sfuggire momentaneamente alle sue responsabilità e viaggiare. Quante volte lo ha già fatto? Innumerevoli. Quante di queste avventure si sono rivelate pericolose? Praticamente tutte. Quante volte gli è andata bene? Praticamente sempre. Fino ad ora.

Intendiamoci: il Dottore salva le persone. Ma non bisogna interpretare la sua decisione di accogliere la richiesta d’aiuto ricevuta come puro altruismo. Ha una macchina del tempo; avrebbe potuto andarci una volta risolto il problema Vault. Avrebbe potuto mandare un messaggio al se stesso su Darillium e chiedergli di farci un salto con River… o a un qualunque se stesso disponibile, se proprio avesse ritenuto urgente un intervento. E invece no. Ci va lui, perché vuole andarci. E passa i primi minuti nella stazione spaziale mettendosi in mostra, inondandola di ossigeno e usando eccessivamente il cacciavite sonico. Mettiamo da parte la missione di salvataggio: la sua è pura e semplice hybris e, come abbiamo già visto altre volte, è una colpa che il Dottore si ritrova sempre a pagare.

Tanto per cominciare, in breve tempo perde il cacciavite. È insieme un avvertimento e un invito a tornare umile, e funziona. Potrebbe ancora salire sul Tardis e andarsene, ma decide di restare per salvare le persone rimaste a bordo, questa volta in modo consapevole e senza secondi fini. Sembra un crudele scherzo del destino quindi, che proprio per salvare Bill, che non era in pericolo finché non ce l’ha condotta lui, il Dottore paghi un prezzo altissimo: perde la vista e, a quanto pare, nemmeno i miracolosi strumenti medici del Tardis riescono a rimediare. È l’amara sorpresa finale dopo l’apparente risoluzione, è l’elemento dell’episodio che ci destabilizza del tutto; siamo abituati a un Dottore che si salva sempre, che trova ogni scappatoia e che, proprio nei casi estremi, si rigenera. Questo Dottore è danneggiato, ferito, non al punto di rigenerarsi ma nemmeno in grado di curarsi in un altro modo. È un’immagine forte, che fa male e allo stesso tempo rimette in gioco tutte le nostre aspettative e le nostre (apparenti) certezze sul prosieguo di una decima stagione per ora davvero potente. Solo il futuro mi darà ragione o meno, ma sono quasi certa che questo momento di Doctor Who entrerà nella storia della serie.

NOTE SPARSE:

– come in Thin Ice, torna sia il tema dell’arricchimento a spese altrui, sia quello del razzismo, e Bill si ritrova paradossalmente a esserne accusata, per un semplice malinteso: lei non conosce il contesto culturale in cui vive Dahh-Ren, e viceversa. Decisamente desolante il fatto che, in quel non precisato futuro, il razzismo sia effettivamente rimasto… è solo cambiato il colore contro cui viene rivolto.

– Tute, con cadaveri all’interno, che diventano più intelligenti col passare del tempo… qualcuno ha detto Cybermen? Direi che il riferimento, specialmente a Nightmare in Silver e Dark Water/Death in Heaven, sia palese.

– Quando Nardole spiega a Bill che il Dottore è sopravvissuto ma ha comunque pagato un prezzo… per un attimo abbiamo pensato tutti a una rigenerazione a sorpresa, vero?

– A proposito di Bill. La sua disperazione quando è convinta di morire, e chiama sua madre, è davvero dolorosa. È una scena potentissima, e un’altra ottima prova attoriale di Pearl Mackie.

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